immagini di #PasoliniLives a Medioera (VT), 11 maggio 2019

#PasoliniLives, la pratica del progetto

Antonio Pavolini

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Ieri sera, mentre incontravo gli eroici spettatori al termine della terza replica di #PasoliniLives al MacroAsilo di Roma, in mezzo ai complimenti di rito (molti erano amici) risuonavano però anche parecchie domande: perché questa performance teatrale? perché non in un teatro? ma tu, non eri uno che studia i media, come mai adesso fai il commediografo? (risate registrate)

Tutte ottime domande, specialmente la più buffa, l’ultima. No, non faccio il commediografo. Così come, con Oltre il Rumore, di sicuro non sono diventato uno scrittore. Il punto, per farla breve, è che di questi tempi preferisco descrivere quello che faccio attraverso l’obiettivo che mi pongo. Potrei anche raccontare il format che scelgo, di volta in volta (il podcast, il libro, il teatro, eccetera), ma poi finirei per impelagarmi nella solita discussione sull’autorialità, sull’arte e sull’artigianato, su cosa sia un mestiere creativo e cosa non lo sia. Diciamo che un bel giorno parleremo solo di questo, e ci toglieremo tutti i sassolini dalle scarpe. Per ora, per me, è molto semplice: se non riesco a centrare l’obiettivo, se il messaggio non arriva alle persone che mi interessano, significa che ho sbagliato il format, non sono capace. E’ già successo, in passato, non è un dramma. Se però invece ci riesco, epperò mi viene da ridere mentre firmo i moduli della SIAE sotto la dicitura “l’artista”, pazienza, non credo che qualcuno ci perderà il sonno.

E allora, parlando dell’obiettivo, torniamo alla prima: perché questo spettacolo teatrale? Per rispondere, io credo che la parola chiave sia “progetto”.

In quest’epoca di corte vedute, di impulsi e soddisfazioni rapide, di giudizi tranchant senza aver studiato prima (ci casco ancora anch’io, ogni tanto) ho capito che se voglio fare qualcosa che mi rimanga davvero dentro, che mi faccia ancora crescere alla mia veneranda età devo essere dentro un progetto. Meglio ancora se condiviso con altre persone. Meglio ancora se persone di talento, appassionate dall’obiettivo, e con cui sia bello passare del tempo.

E’ un’esercizio, o meglio una pratica, che ormai paragono all’esercizio fisico per la sua necessità. Tutti noi siamo schiacciati da piccoli doveri e grandi responsabilità, tutti i giorni. E sentiamo di non avere mai il tempo, o comunque non ce lo prendiamo, per provare a fare qualcosa di condiviso e strutturato. Il lavoro, la famiglia, eccetera sarebbero anche ottime scuse per rimanere inerti. Lo sarebbero se nel tempo libero non perdessimo tempo, a discutere su cose non decise da noi o a “intrattenerci” con contenuti prodotti dagli altri.

Eppure non è mai stato così facile progettare e produrre un contenuto, in forma condivisa e strutturata. Non ci sono vincoli di spazio: tutti sono raggiungibili, sempre. Non ce ne sono nemmeno di tempo: tutti contruibuiranno quando potranno, quasi sempre in forma asincrona. Inoltre, parlando di motivazione, mettendo per un attimo da parte chi intenda necessariamente farne un lavoro (massima stima), dovremmo sempre ricordarci che da un progetto possiamo essere remunerati in molti modi, che non siano la semplice monetizzazione. E no, non parlo della famosa “visibilità” (di cui ce ne importa il giusto). Parlo delle relazioni, del valore dello scambio, con i compagni di strada, con gli sconosciuti che entrano in contatto col frutto del tuo lavoro. Per aver imparato a usare nuovi strumenti collaborativi, che potranno servirti (eccome) anche per fare soldi, un giorno. Per aver lasciato qualcosa di te da qualche parte, come oggi internet permette di fare, con la ragionevole aspettativa di averlo fatto per sempre. Per raccogliere gli stimoli, il feedback di chi ha qualcosa da dire. Sulle leve razionali che hai esercitato. Sulle emozioni che il tuo contenuto ha prodotto. E si potrebbe andare avanti a lungo.

Perché il teatro, dunque? Nicola, l’attore protagonista di #PasoliniLives, mi ha detto che il teatro è l’unico luogo in si possono compiere gesti di verità, e rivendicarlo senza sembrare ridicoli. Specie se le parole sono quelle di un grande intellettuale del passato, il testo torna ad essere qualcosa che può essere anzitutto celebrato, e quindi contestualizzato in piena onestà. Sul palcoscenico non puoi realizzare un framing con fini fraudolenti: ti sgamerebbero subito. Il teatro è una palestra di onestà intellettuale: specialmente se non provi a trovare risposte dal passato, ma cerchi solo di sollevare le domande giuste per il presente.

Alessandro Sebastiani e Nicola Fanucchi

Questo è #PasoliniLives: 45 minuti di musica, parole e framing magari criticabilissimi, ma di un’onestà specchiata. Non c’è propaganda, solo la volontà di innescare connessioni emotive tra parole ancora pesanti come pietre, in cui ciascuno può trovare le proprie chiavi interpretative dell’oggi, incrociandole con i video “storici” incasellati da Carlotta Lucchesi e con la forza della colonna musicale originale scritta e eseguita da Alessandro Sebastani.

Pasolini aveva spiegato internet?” Scrive il bravissimo Marco Viviani dopo la prima di Pisa. No, ma aveva capito dove ci avrebbe portato la società della comunicazione di massa. I media avrebbero trasfigurato la realtà omologando la cultura. E nel momento in cui i media ci avrebbero permesso di dialogare alla pari, avremmo continuato a preferire la pappa pronta, da parte di chiunque avesse trovato il modo di fare soldi propinandocela. Perché siamo psicologicamente predisposti a ricevere messaggi dall’alto, anche quando avremmo i mezzi per immaginare narrazioni e rilevanze alternative.

A giudicare dalle reazioni, questo messaggio indubbiamente è arrivato, anche causando un certo sconcerto, al pubblico che siamo riusciti a coinvolgere finora. Se avremo occasione, continueremo a portarlo ai Festival dei Media, che sono i principali destinatari del progetto. Ma saremo comunque felici di continuare a mandarlo in scena, a prescindere dalla trasversalità dei pubblici e dei contesti.

Tornando al processo, forse il modo migliore per trasferire la ricchezza di questa esperienza è fornire qualche nota di backstage. Prima di scrivere la prima bozza del testo, ho dovuto leggere tutto il Pasolini saggista che non avevo letto, colmare alcune importanti lacune sulla sua produzione, ma soprattutto rintracciare e trascrivere tutta una serie di sue apparizioni e manifestazioni pubbliche, specialmente degli ultimi anni della sua vita, in cui si lanciò in quelle che banalmente continuiamo a chiamare “profezie”.

Ho poi scelto i brani che ritenevo significativi e li ho incastrati in un percorso condiviso col gruppo di lavoro: questo.

Dopo un paio di martellate al percorso, abbiamo stabilito i brani rilevanti, tagliandone fuori parecchi. Lo stesso abbiamo fatto col materiale multimediale, che documenta la progressiva degenerazione dei media a partire dagli anni ’90 fino all’altroieri.

Visti i brani testuali prescelti, le immagini e il percorso, Alessandro ha iniziato a proporre la sua colonna sonora. Poi, collaborativamente (cioè con un file condiviso in rete) abbiamo messo insieme il copione, cioè in che modo il testo poteva incastrarsi con la musica e con le immagini. Carlotta ha fatto un lavoro spaventoso di editing per dare un senso a ogni singolo fotogramma. Il risultato non è razionalmente evidente a una prima occhiata, ma lascia tracce profonde a livello emotivo. I primi ad essere scioccati fummo noi, quando iniziammo a scorgere qualcosa sul suo computer.

Non appena il copione ha iniziato a prendere forma, abbiamo deciso di vederci in una specie di eremo, e cioè il casale di Carlotta sulle colline lucchesi. In un weekend ben documentato in questo video qui sopra, dove scorre anche parecchio vino e vengono triturate alcune cofane di pasta, siamo venuti fuori con un primo semilavorato convincente. In alcuni momenti sono emerse affinità sorprendenti, ma anche preziose divergenze che abbiamo appianato democraticamente, cioè versando altro vino e inserendo cioccolata all’interno del dissidente, nel cuore della notte. Soprattutto io mi sono reso conto di quanto sia faticoso e al contempo appagante il teatro, o quella parte di teatro che ho potuto sfiorare in quei giorni.

Poi abbiamo continuato a raffinare la sequenza (ormai non era più “il copione” ma “la sequenza”) da remoto, condividendo tutto in cartelle sempre meno disordinate. La scadenza di Internet Festival ha funzionato molto bene per “darci la sveglia” nei rari momenti di empasse. Poi c’è stata la prima, con 200 persone rimaste fuori dal teatro, e con le 120 stipate nella Sala Verdi del Teatro di Pisa piuttosto sgomente, ma sicuramente colpite dall’impasto micidiale e dall’interpretazione di Nicola.

Tutto questo per dire, in sintesi, vi prego: se potete fate qualcosa del genere anche voi, è troppo bello.

Magari non avete un grande attore come cugino, d’accordo, ma magari avete altri vantaggi competitivi per altri format. Una inchiesta video? Un radiodramma? Un libro illustrato? Fate quello che vi pare, ma fatelo. E fatelo insieme.

E no, “non ho tempo” non è mai stata una scusa. E continuerà a non esserla fino a quando vi vedremo impegnatissimi a battere il record di Candy Crush o svaccati davanti a Ballarò. Buttatevi: ne vale la pena.

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