Le regole, in realtà, sono abbastanza semplici.

Antonio Pavolini
4 min readApr 4, 2020

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Dopo aver letto varie discussioni sulle famose “regole”, ho pensato di scrivere qui le cose che consegnerei su un foglietto a qualsiasi privato cittadino (come noto ai pubblici ufficiali va invece consegnato il famoso modulo), nell’ipotesi in cui, nei rari casi in cui esco di casa, dovesse rivolgersi a me da un balcone o da una finestra, o magari proprio per strada. Perché sì, pare stia succedendo anche questo, e penso sia saggio evitare una discussione a voce che — quella sì — sarebbe molto pericolosa, sia per la diffusione del virus, sia per la resistenza nervosa di tutti.

Il mantra universale di questi giorni, #IoRestoaCasa, è un principio sacrosanto, a cui tutti devono attenersi per contenere la diffusione del Covid-19. Qualcuno ha proposto anche #IoStoAllaLarga, che indica il vero comportamento che, anche secondo gli scienziati, può limitare i contagi: tenersi a distanza dalle altre persone. Ovunque: a casa, al supermercato, sul lavoro, per finire con chi passeggia o svolge la famosa “attività motoria”. Ma dato che alla fine è la politica che decide, ed è giusto così, si è obiettato che #IoStoAllaLarga non è un concetto abbastanza chiaro, e che in molti lo avrebbero interpretato troppo liberamente, quindi va bene così: #IoRestoaCasa.

Questo, in realtà, in larghissima misura, è quello che fanno da oltre tre settimane, con un civismo che ha sorpreso qualcuno, milioni di italiani.
Noi, effettivamente, #stiamoacasa, applicando quindi il buonsenso, e con lo stesso buonsenso ci permettiamo di uscire solo nei casi previsti dalla legge.

- per andare al lavoro, se non si può fare da casa
- per esigenze comprovate, come procurarci beni di prima necessità
- per svolgere attività motoria

Per tutte queste tre eccezioni valgono ovviamente le regole ricomprese in “IoStoAllaLarga”. Fare queste cose in perfetta solitudine, nessun assembramento, un metro (ma è meglio due) di distanza minima tra le persone, mascherina nei luoghi chiusi (quest’ultima non è ancora prevista per legge, ma ormai tutti i negozi, gli uffici e le fabbriche lo considerano necessario, non tanto per proteggersi, quanto per difendere gli altri se dovessimo essere positivi asintomatici).

Ora, mentre la comune percezione accetta e ricomprende nel “buon senso” le prime due eccezioni previste dalla legge, la terza eccezione, la famosa attività motoria, è oggetto da settimane di un incessante stigma da parte di un gran numero di persone. Forse una minoranza, ma sicuramente una minoranza molto rumorosa, tanto che molte persone hanno smesso di uscire di casa per svolgere attività motoria (che non è solo essere un runner o un ciclista, ma anche solo passeggiare per un tempo ragionevole perché stare chiusi in casa tutto il giorno non fa bene alla salute, per esempio).

Ora la domanda è: come mai chi esce ogni tanto per svolgere attività motoria “in prossimità della propria abitazione”, come recita il decreto senza specificare i metri di distanza (ma sulla ratio di questa regola lo stesso Conte è stato molto chiaro), non viene ammesso nella categoria delle persone dotate di buon senso, che contribuiscono con civismo al contenimento del virus?

In fondo, come ripetono parecchi esperti (quelli veri) è ben più facile che il virus si diffonda in ambienti chiusi, come le nostre case, gli uffici, le fabbriche, i supermercati, i tabaccai, ecc., rispetto agli spazi aperti.

Le risposte possono essere molte, a partire dal famoso: “ah, se tutti facessero così, avremmo un intero popolo a passeggio”. Si tratta di un argomento meritevole di considerazione, ma che parte dalla premessa che gli italiani debbano essere considerati dei bambini dell’asilo, e non dei cittadini. E che giustificherebbe quindi lo stigma e tutti i suoi prodotti di risulta nei comportamenti pubblici, come il lanciafiamme più volte evocato dal presidente della Regione Campania De Luca, che proprio su questo genere di contributo al dibattito ha costruito, negli anni, il suo consenso.

Anche se in pochi se ne sono accorti, a smontare il principio dell’”ah, se tutti facessero, così” ci ha pensato però, nel suo ultimo annuncio ufficiale, proprio il Premier Giuseppe Conte, che ci ha ricordato che ogni prescrizione di legge si colloca nel quadro delle libertà e dei diritti costituzionali. A meno, aggiungo io, di trovarci in uno Stato di Polizia, o che al Capo del Governo vengano attribuiti, a seguito di regolare voto parlamentare, poteri di guerra.

E se il diritto alla salute (pubblica, non per i privilegiati) è tra i più importanti principi della nostra carta costituzionale, le misure atte alla sua tutela non possono affievolire oltre certi limiti altri diritti della persona, come la libertà di circolazione. Su come si contemperino, in particolare, la libertà di circolazione e le esigenze anche contingenti di sicurezza e sanità, c’è una interessante Relazione della Corte Costituzionale (p. 26 di questo resoconto) che chiarisce alcuni punti essenziali e la più rilevante giurisprudenza in materia.

Per lo stesso motivo, ogni legge deve trovare un equilibrio anche tra interessi (e quindi non solo diritti) contrapposti, come accade in modo piuttosto evidente tra imprenditori e lavoratori in questi giorni difficili per entrambe queste categorie.

Di sicuro la Costituzione non prevede, in queste circostanze, un affievolimento al diritto di ciascuno di noi di non essere vittima di stigma o delazioni “identificanti” ad opera di altri privati cittadini.

Quello che la Costituzione e la legge chiedono in cambio di queste tutele, a ognuno di noi, è che appunto, nel rispetto della legge si debba applicare il buon senso. Per esempio, se usciamo di casa e vediamo che in strada c’è troppa gente, rientriamo a casa. Se arriviamo al supermercato e c’è troppa fila, rinunciamo. Se andiamo al lavoro e ci rendiamo conto che non ci sono le condizioni minime di sicurezza, lo facciamo presente. E se siamo il datore di lavoro, in quelle condizioni rimandiamo il lavoratore a casa.

Questo, per chiudere, significa essere cittadini, e non bambini. Mentre, di sicuro, siamo molto più bambini quando richiamiamo l’attenzione della maestra per quella che è una nostra valutazione personale, priva di alcuna autorità, sull’applicazione delle regole.

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